St. Louis, Missouri; Detroit, Michigan e Herrin, Illinois sono i centri più importanti dell’emigrazione di fine ottocento da Cuggiono e dal suo mandamento.
Le analisi dettagliate del grande movimento citano spesso altre località dove i cuggionesi, pur presenti, non hanno apparentemente inciso nel tessuto locale o meglio, il loro oscuro lavoro quotidiano è rimasto nascosto. È tempo, quindi, di addentrarci in questi meandri per scoprire nuove realtà dell’emigrazione di questo territorio.
Ad esempio, Joliet, Illinois.
Joliet è una città situata a circa 50chilometri a sud di Chicago, ormai parte della sua
area metropolitana che ai primi del novecento contava circa 30mila abitanti ed oggi è sui 150mila.
La sua posizione geografica al centro di ferrovie, strade e canali intorno al fiume Des Plaines attrasse gente da ogni dove che trovò lavoro nelle acciaierie, nelle cave di dolomite e nella costruzione di strade tra cui un tratto della mitica Route 66.
I lombardi furono indirizzati a Joliet attorno al 1880 per lavorare nelle cave di dolomite di fianco a immigrati boemi, polacchi, cechi ed austriaci. Lavoro duro e paghe basse. Piccone e badile – pick and shovel.
La pietra, dal colore crema rosaceo, serviva per le fondamenta delle case, i muri di contenimento delle chiuse dei canali, ponti, acquedotti ed anche per edifici commerciali, chiese e case private ed anche per pavimentare le strade.
Quando nella seconda decade del 900 la dolomite di Joliet cadde in disuso gli immigrati furono costretti a cambiare attività e molti furono assunti dalla US Steel una delle più grandi acciaierie americane che a sua volta chiuse i battenti nel 1932. Da allora in poi, non essendoci più un datore di lavoro importante, ognuno cercò la propria strada, spesso, nei servizi offerti dalla città di Joliet.
Gli italiani vivevano soprattutto attorno ad alcune strade ben definite: Water Street, Ottawa Street, Des Plaines Street, Chicago Street, Joliet Street, Jasper Street e frequentavano la chiesa di St. Anthony.
Il censimento del 1920 trascritto da Charles Crespi mostra poco più di 400 italiani nell’area sopracitata di cui quasi 150 ovvero oltre il 35% di chiara origine Alto-Milanese. È quindi giocoforza analizzare con accuratezza ciò che è rimasto della loro presenza e tracciarne la storia per le future generazioni. Sono stati gettati dei sassi e sono stati sparse al vento molte sementi con l’aiuto sia di Charles Crespi ora abitante nel Maine e del cugino Brian Quigley, ora di base a San Francisco con la certezza che questo capitolo dell’emigrazione possa fiorire.
Nell’attesa cito anche se pedissequamente le famiglie di chiara marca locale presenti nel censimento suddetto : Barni, Berra, Bertani, Bertoni, Borghi, Borroni, Bossi, Branca, Brusatori, Calcaterra (nelle sue varianti), Carnaghi, Cassani, Clavenna, Colombo, Crespi, Cucchi, De Mattei, DE Clementi, Eovaldi, Formenti, Fumagalli, Garavaglia (nelle sue varianti Garsovaglia, Garavalea, Gavaralea, Garvaglia, Garvalia), Gualdoni, Lavazza, Lovati, Miramonti, Merlo (nelle varianti Marlo e Marlow), Oldani, Pisoni, Ranzini, Rimoldi, Scolari, Spezia, Tapella, Taveggia, Venegono e Vismara.
Nel frattempo mi sono ricordato che Rosa nel volume a lei dedicato da Marie Hall Ets, Rosa, vita di una emigrante italiana, menziona spesso l’amica Caterina. Inoltre, probabilmente negli anni venti si fece accompagnare dalla sua amica, la signora May dei Chicago Commons a Joliet per incontrare i compagni di gioventù. Incontrò Caterina e molti degli uomini che di sera raccontavano le storie nelle stalle.
Infatti nel censimento del Ward 6 – distretto elettorale del 1920 figura Catherine nata nel 1866, come Rosa, partita per l’America nel 1884 e sposata con Emilio Garavalia ed abitante in Des Plaines Street.
Indizi per un nuovo traguardo.
Ernesto R Milani
4 luglio 2018