di Enzo Favoino Articolo 35, una scelleratezza. In questi giorni si è parlato molto dell’articolo 35 del cosiddetto “sblocca Italia”, e abbiamo tutti paventato il rischio che lo stesso rappresenta per le strategie di sostenibilità in tema di gestione dei rifiuti. Ne abbiamo ben donde: l’articolo è un tentativo, sfacciato quanto sconclusionato, di dare corpo a speranze ed intenzioni di chi, per cultura, interesse o semplice dabbenaggine, immagina un sistema di gestione dei rifiuti impostato sull’elemento imprescindibile del trattamento termico. Come se fosse ineluttabile arrendersi ad un destino di “modernizzazione” ad esso legato: “l’Italia è indietro perché mancano gli inceneritori” è il pensiero, implicito o dichiarato, che sottende tale visione. Una concezione tanto più risibile proprio in un momento in cui i Paesi della malintesa “modernità” inceneritorista affrontano criticità legate a tali scelte e necessarie inversioni di rotta, o si trovano costretti a relazionarsi problematicamente con le indicazioni di medio temine provenienti dal quadro di riferimento europeo, che prevedono sempre più raccolta differenziata, sempre meno rifiuto, sempre meno residui da smaltire. Ricordiamo alcuni fatti, clamorosi nella loro icastica evidenza. La Danimarca nella sua strategia sulle risorse discute e definisce una “exit strategy” dell’incenerimento, al grido di “dobbiamo incenerire meno, e riciclare di più”; chissà se dunque e finalmente da quelle avrà fortune migliori la raccolta differenziata degli scarti alimentari, su cui la Danimarca, giustamente famosa per le politiche di sostenibilità in altri settori (energia, trasporti) sconta un clamoroso ritardo, che la mette agli ultimi posti europei per diffusione delle raccolte dello scarto di cucina. D’altronde, c’erano da alimentare bocche di forno (e noi anziché esportare le eccellenze che abbiamo saputo realizzare su questo tema, come lo sviluppo e l’efficientamento delle raccolte dell’umido, anche in contesti densamente urbanizzati, con l’art.35 ci candidiamo ad importare progetti e brevetti da Paesi che li stanno dismettendo). La Svezia, la Norvegia e l’Olanda, la cui sovraccapacità di incenerimento è ormai clamorosa, si trovano costrette ad importare rifiuti da altri paesi (massicciamente dal Regno Unito, secondariamente Italia) a prezzi sempre più stracciati – e questo, se può essere al limite visto come un vantaggio per chi conferisce, diventa un dramma in termini finanziari per chi deve garantire il ritorno degli investimenti pregressi e la copertura dei costi – per garantire un minimo di introiti a parziale copertura dei costi, ed evitare di rimanere al freddo di inverno, vista la scelta irragionevole di legare le reti di teleriscaldamento ad una risorsa che le strategie europee ci dicono di minimizzare progressivamente! Il pacchetto UE sulla economia circolare Punta in modo potente nella direzione opposta, dicendo che dobbiamo riusare e riciclare il più possibile, e diminuire l’intensità d’uso delle risorse; e questo, prima ancora che per una istanza di tipo ambientale, per salvare il ruolo della economia europea in uno scenario internazionale caratterizzato sempre più dalla scarsità delle risorse primarie, dalla lotta per le stesse sui mercati mondiali e dalla determinazione delle economie emergenti di usare le loro per loro. Insomma, riciclare per rimanere competitivi nella economia globale, e lo hanno capito le grandi società di consulenza finanziaria che da tempo hanno introdotto la attitudine al riciclaggio nei fattori di valutazione della competitività dei diversi territori. In questo scenario, l’articolo 35 vuole fare diventare l’Italia terra di conquista per tecnologie brevettate all’estero e grandi programmi di investimento, anziché protagonista di politiche di migliore uso delle risorse locali per aiutare una economia storicamente di trasformazione, e letteralmente soffocata dalla competizione sul mercato globale delle risorse. Diseconomie E’ appena il caso di richiamare poi brevemente (non perché non importanti, ma perché le diamo per assodate e condivise) le considerazioni sulle diseconomie, le ripercussioni negative sotto il profilo occupazionale, il peggioramento delle prestazioni energetiche e ambientali complessive delsistema, in scenari impostati sull’incenerimento di quote maggiori o minori di rifiuto. Fatta questa operazione, ossia l’elencazione dei temi per cui il contesto generale fa a pugni con leintenzioni sottese all’articolo 35, qui volevamo però soprattutto dare alcune indicazioni sul perché tale operazione risulta debole e contraddittoria rispetto alle sue stesse deteriori finalità: sono le formulazioni decisamente deboli, sconclusionate dell’articolo 35 stesso le nostre migliori alleate, e le zeppe che possiamo inserire nel percorso della sua applicazione. Ci sono anzitutto alcune “perle” che neanche meritano commento, e che evidenziamo solo per mettere all’indice, segnalandola agli interlocutori terzi, la sfacciataggine di fondo dell’articolo: clamoroso il passaggio in cui si scrive che gli inceneritori “concorrono allo sviluppo della raccolta differenziata ed al riciclaggio” (sic!), ecco, neanche il più impavido e accanito fan dell’incenerimento è in grado di dimostrare un assunto così ardito, un caso esemplare di quello che Umberto Eco chiama il “cogito interruptus”, un assunto indimostrato ed indimostrabile, ed anzi contrario alla logica. Bene, vale la pena di sottolineare questo eccesso di zelo pro incenerimento, perché è nell’eccesso degli assiomi indimostrati ed indimostrabili che sta la debolezza e la mancanza di credibilità ad occhi terzi e distaccati di una posizione, qualunque essa sia. Ma sono altri due gli aspetti particolarmente intriganti per le contraddizioni stesse di cui sono portatori. Anzitutto, il passaggio in cui l’estensore specifica che tali impianti sono necessari “per rispettare le direttive europee” (per “superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”, recita l’articolato). L’estensore in realtà sa bene, e se non lo sa non dovrebbe elaborare norme, che non c’è nessuna Direttiva europea che obbliga ad inviare ad incenerimento almeno una certa quota di rifiuto. E’ bene ripeterlo: nessuna Direttiva Europea chiede questo. C’è invece l’obbligo di pretrattamento, che deriva dalla Direttiva discariche, e il cui mancato rispetto tiene l’Italia sotto botta di diverse procedure di infrazione (inclusa quella clamorosa relativa alla discarica di Roma). Ecco, se l’estensore dell’art. 35, intendeva che gli inceneritori servono a rispettare tale obbligo, allora gli vanno fatte presenti alcune annotazioni di rilevanza strategica, e che dovrebbero essere ben conosciute a chi redige normativa tecnica di settore: ossia, che in Italia ci vogliono mediamente 7-8 anni per realizzare un inceneritore, tra valutazione preliminare dei siti, gare di progettazione, sviluppo della progettazione stessa, autorizzazioni, gare per la realizzazione, costruzione, avviamento e collaudo. Ci vuole molto meno invece per realizzare impianti di trattamento a freddo, che oltre al dono della celerità mantengono e regalano al sistema quello della flessibilità ed adattabilità a scenari crescenti di raccolta differenziata, il che a noi sta a cuore. Vero, i poteri straordinari e le procedure in deroga previsti dall’articolo 35 si propongono di abbreviare i tempi – ma la cosa varrebbe anche per gli impianti di trattamento a freddo, mantenendo la proporzione. Ora, tali impianti, ben più utili al rispetto delle direttive, non sono citati nell’articolo, che anche in questo mostra una sua faziosa propensione. Ma posiamo citarli noi nei dibattiti locali, e proporli “per meglio rispettare le Direttive UE citate dallo stesso articolo 35″ Sotto il profilo metodologico, ed in sintesi, l’articolo si propone di sostituire l’iniziativa ministeriale alla pianificazione locale. E qui la disproporzione si fa clamorosa, dato che un Piano Regionale o Provinciale richiede mesi se non anni di analisi approfondite, valutazioni economiche, strategiche, territoriali, di coerenza complessiva del sistema nelle sue diverse articolazioni (raccolte differenziate, riduzione, recuperi, conseguenti quote decrescenti di residuo, ecc.). E con attenzione (maggiore o minore, ma in linea di principio cosi dovrebbe essere) alla vocazione economica del territorio ed alle istanze degli attori sociali a livello locale. Niente di tutto questo in una decisione centralizzata che sarebbe un mero esercizio numerico da portare a termine in 90 giorni. E questo è il motivo che sta portando alcune Regioni a impugnare l’articolo di fronte agli organismi di garanzia costituzionale. Per non parlare poi delle decisioni sugli impianti esistenti. Chi partecipa ad un Tavolo demandato a decidere su un revamping od una dismissione di un inceneritore, sa quanto approfondite ed articolate siano le analisi sullo stato di fatto, le criticità tecnologiche, le economie del sito e dell’intorno territoriale, le prospettive di crescita ed implementazione della RD e le conseguenti condizioni di rischio finanziario che in modo crescente affliggono gli investimenti nella direzione del mantenimento delle capacita di incenerimento. Invece si vuole, si pretende che una decisione prescinda da tutte queste valutazioni. E vi assicuriamo, sono spesso, sempre più spesso gli stessi titolari degli impianti ad avvertire le condizioni di rischio legate a decisioni calate dall’alto Insomma, un articolo scellerato, e sfacciato nella sua scelleratezza. Ma anche sconclusionato, e debole, debolissimo nelle argomentazioni a supporto. E se, mentre portiamo avanti il confronto per abolire a livello nazionale tale scelleratezza, saremo bravi ad usare le sue stesse contraddizioni, non e detto che alla fine l’effetto sia del tutto, o anche prevalentemente, negativo. Vale la pena di tentarci.
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