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Quel 7 luglio del ’44

La memoria di Gian Franco Crespi

All’alba del 7 luglio 1944 i pendolari cuggionesi si avviavano verso la stazione del “Gamba de legn”, l’asmatico trenino a vapore che faceva la sua prima corsa alle 5.30 del mattino. Ad alcuni era sembrato udire dei colpi sparati a raffica dalle parti della strada per Casate; infatti uno scontro a fuoco era avvenuto alla Cascina Leopoldina (Cassina di Oll) tra partigiani e brigatisti neri, giunti a Cuggiono in forze ed in pieno assetto di guerra. Alcune settimane prima, con false seppur attendibili credenziali, una spia, tale Conte della Rocca, si era infiltrata tra i partigiani della Brigata Gasparotto acquartierati alla Cascina Leopoldina e, con l’inganno, aveva conquistata la fiducia. Invece li tradiva preparando il rastrellamento che ebbe il suo prologo la sera del giorno precedente.

Con il pretesto di recarsi all’incontro dei militi repubblichini che intendevano disertare, il falso della Rocca lasciò la cascina, diretto a Milano, in compagnia di due partigiani, Berra e Gualdoni che poi, disarmati e incatenati, verranno riportati a Cuggiono all’inizio del rastrellamento.

Dopo la nutrita sparatoria avvenuta alla cascina, altri due partigiani, dei quali uno ferito, venivano catturati dai brigatisti. Erano i cugini Giovanni e Giordano Giassi di Sant’Antonino: poco più di quarant’anni in due. Con loro venivano arrestate altre persone, tra le quali anche delle donne, destinate poi alle prigioni repubblichine o ai lager nazisti.

La moglie di un affittuario della cascina, la signora Villa, finì nel famigerato campo di sterminio di Ravensbrück; contemporaneamente, in piazza San Maurizio, addossati al muro della trattoria “Leon d’oro”, sempre incatenati tra loro, Carlo Berra 30 anni e Gianni Gualdoni 20 anni, venivano insultati e scherniti dai brigatisti neri con i mitra spianati. Chi, passando, vide la scena, riferì di aver notato il profondo contrasto tra l’atteggiamento di fermezza, di serenità e di fierezza dei due partigiani e la tracotanza degli aguzzini. Certo, chi si batteva per la libertà, la giustizia ed i diritti dell’uomo era sicuro di stare dalla parte giusta e con tale convinzione affrontava l’estremo sacrificio serenamente, senza paura e senza odio.

Chi invece credeva solo nella forza delle armi, nel diritto del più prepotente, nel prevalere della violenza sulla ragione, non poteva essere che violento e prevaricatore. Poco dopo le nove del mattino il rastrellamento poteva considerarsi finito. La resistenza partigiana non aveva consentito ai brigatisti neri di raggiungere l’obiettivo prefissato, che era l’annientamento delle forze partigiane e la cattura dei loro capi. Ma il prezzo pagato quella tragica mattina fu alto: numerosi arresti tra i civili e la cattura dei quattro partigiani.

Poco dopo Berra, Gualdoni ed uno dei Giassi su di un camion, l’altro Giassi ferito sull’ambulanza dell’ospedale, condotta da un cuggionese che l’aveva in gestione, furono trasportate alla caserma della G.N.R. in Via Vincenzo Monti a Milano e lì, senza nemmeno la parvenza di un giudizio, con il partigiano ferito messo su di uno sgabello vennero fucilati. Lo stesso conducente dell’ambulanza, inorridito, portò la notizia in paese.

A memoria dei cittadini ricordiamo anche il terzo dei cuggionesi ucciso per la libertà: Giovanni Rossetti, combattente della Resistenza, caduto in battaglia ad Arona nell’aprile del 1945, a pochi giorni dalla Liberazione.

1944 – Un giorno di Luglio
di Pinetto Spezia

Era il mattino del giorno 8, avevamo trascorso la notte nel capanno offertoci dal sig. Paolo Garavaglia con senso di responsabilità; dentro vi era della paglia che ci fece da materasso, era molto silenzioso, dava una relativa sicurezza. 

L’ambiente era ideale. Ne avevamo bisogno dopo una giornata travagliata, i fatti del giorno prima alla cascina Leopoldina ci avevano affranti anche fisicamente; dieci prigionieri di cui 4 fucilati! Nel pomeriggio in compagnia di Fiorenzo Croci, Peppino e Nildo ci impegnammo per spostare i depositi di armi in nuovi posti più sicuri. Giunti a Bernate trovammo Martino e Achille che ci informarono di aver provveduto in parte allo spostamento del deposito più esposto cioè quello celato sotto il camino della ” Osteria della Rosa”.

Si lottava giorno per giorno, sapevamo che non vi erano liberatori ma giovani che si liberavano. Mario mi disse di aver incontrato Enrico di Induno in compagnia di altri giovani desiderosi di parlarmi. 

Completammo il cambiamento ai depositi durante tutto il pomeriggio, selezionando le armi che ci sembravano bisognose di manutenzione, per affidarle ai nostri improvvisati armaioli (Ginetto Berra, Carletto Clementi e Pierino Garascia). Verso sera, facendo ritorno al capanno, incontrammo un gruppo di giovani che ci attendevano, riconobbi Enrico…, ci avvicinammo, erano quasi tutti di nostra conoscenza, ci dissero che intendevano fare parte della nostra formazione. Risposi loro chiedendo se fossero a conoscenza delle quattro fucilazioni avvenute il giorno prima. Dissero di si, aggiungendo che erano venuti per rimpiazzarli. 

L’accento tanto cosciente mi commosse , non era retorica.

Ricordo qui i loro nomi: Enrico Cerini, Angelo Picetti, Pino Foieni, Tarcisio Marchesi, Severino Marchesi, Enrico Foieni, Giovanni Ravasio e Di Salvo Giovanni (quest’ultimo del sud, dopo l’8 Settembre optò per la resistenza).