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La Gasparotto a Turbigo – 27 Aprile 1945

Di Pinetto Spezia

Il giorno 25 Aprile per i più è l’ultima fase di un lungo periodo di sofferenze e di lutti, invece la nostra formazione, per cause di forza maggiore, dovette rimanere in servizio fino alla metà di giugno. Le notizie che ci pervenivano dal vicino Piemonte tramite Italo Somaglino comandante della formazione Remo Rebellotti erano allarmanti (formazione a noi cara; un po’ nostra, in quanto abbiamo collaborato nel tenere i contatti con il comando di Castagnate, attraverso il Ticino, quando Rino stava dando vita alla formazione),
Ancora si parlava di massacri di cittadini inermi, ad opera di tedeschi sbandati, che, armati di tutto punto, entravano di sorpresa nei paesi provocando inumane stragi come avvenne a Grugliasco (Torino). Era la mattina del 30 di Aprile, nella piazza del paese la popolazione stava commemorando i caduti. Improvvisamente irruppero due autoblindo tedesche. Sessantasei cittadini, sotto il tiro delle mitragliatrici, furono incolonnati e condotti fuori paese. Dopo pochi minuti, il crepitare delle mitragliatrici annunciò agli ancora increduli cittadini rimasti nella piazza, l’eccidio. I fanatici di una filosofia aberrante, assetati di sangue, offrivano al mondo, ancora una volta il volto della loro degradazione. E ancora, a Lecco, il 30 Aprile, altro feroce agguato. 
Pubblichiamo per esteso un articolo in prima pagina del giornale “L’Avanti” del 1° Maggio 1945:

“Lecco, 30 Aprile.
Un gruppo di sbandati fascisti, appartenente all’ex brigata nera fiorentina, si è macchiato di un nuovo efferato delitto.
Nelle prime ore di ieri mattina, camuffati da patrioti con vistosi bracciali tricolori (bracciale portato in quei giorni dai patrioti) essi assalivano proditoriamente un distaccamento di Volontari della Libertà uccidendone 17. I patrioti reagivano prontamente e 16 della brigata nera vennero catturati e processati.”

Anche il quotidiano “L’ITALIA LIBERA” del Partito d’Azione “Giustizia e libertà” usciva con un articolo in prima pagina, che qui riportiamo:
“2 Maggio 1945″ L’ultima efferatezza: Dongo e Tramezzo, bombardate dai Tedeschi”.

Radio Monteceneri comunica che un apparecchio isolato tedesco ha lasciato cadere alcune bombe, nella serata del 1° Maggio, su Tramezzo e Dongo, causando la morte di alcune persone.
Quel lungo periodo di sofferenze e di lutti non era dunque del tutto finito. Il comando del Corpo Di Liberazione Alta Italia, alla forza dovette rispondere con la forza, pur non trascurandole ragionevoli possibilità di intesa. A tale proposito, ogni formazione ha da raccontare le proprie esperienze di quei dì.
Ricordo il giorno 26, quando ci opponemmo a due colonne tedesche in marcia verso Milano, che dovevano congiungersi nei pressi di Inveruno. A Bernate il giorno prima (sera del 24 e 25 mattina) un reparto tedesco, forte di 50 uomini, era stato affrontato e disarmato dai nostri uomini.
E ancora il giorno 27 Aprile la Brigata Ravenna della R.S.I. di Salò, armata di tutto punto, si presentava alle porte di Turbigo, con l’intenzione di congiungersi con i tedeschi li di stanza, non sapendo che essi avevano abbandonato il presidio il giorno prima per unirsi al loro gruppo, in seguito disarmato ad Inveruno.

Come avvenne la resa della Ravenna:
Era il giorno 27 Aprile. Il giorno aveva appena salutato l’alba, la nostra sentinella (Felice Colombo), posta di guardia in zona cave Serratoni, binocolo alla mano, sorvegliava il nostro posto di blocco, come da precisi ordini di Alberto. Tra il fogliame dei boschi la nostra sentinella intravide due uomini, in divisa repubblichina e armati di mitra, che si dirigevano verso il nostro posto di blocco.
La sentinella avvisò il caposquadra Giuliano Vescovo il quale, tramite al terzo uomo di guardia Carlo Milani, informò Amedeo Garavaglia, della “Volante” comandata da Carletto Ponciroli, di portarsi a Cuggiono per avvisare il comando della Gasparotto.
I nostri attesero i due militi e una volta individuati intimarono l’alt. “Chi siete, non muovetevi, siete sotto il tiro dei mitra, deponete le armi.-“
I due si lasciarono disarmare e si identificarono: erano della Brigata Ravenna, provenivano dalla Val D’Ossola e stavano cercando di avere dei contatti con i camerati tedeschi di stanza a Turbigo. (vedi relazione del maggiore Ronchi Luigi, Robecchetto 3/5/1945).
“Ieri i vostri camerati hanno evacuato la postazione, per dar man forte a un altro gruppo di tedeschi in quel di Inveruno, ma buon per noi, dopo uno scontro con la Gasparotto, hanno dovuto arrendersi e ora si trovano prigionieri nei nostri campi di raccolta.”
I due repubblichini non credettero che la situazione si fosse resa così pesante per loro. Comunque vennero trattenuti fino a che il consiglio della formazione Gasparotto stabilì le condizioni di resa delle quali furono resi tramite. Resa senza condizioni per la brigata Ravenna. Noi in attesa di una loro risposta rafforzammo le postazioni.
Il sole inondava la ridente vallata del Ticino, e gli operai dei primi turni, ignari del pericolo si recavano percorrendole strade adiacenti la postazione dei repubblichini.
Questi fermarono delle operaie, e imposero loro ritrasmettere in paese la richiesta di non ostacolare il passo alla loro brigata altrimenti ci sarebbe stata sicura battaglia fino allo stremo.
Il loro fine era quello già manifestato dalle due avanguardie cioè quello di raggiungere le truppe tedesche ovunque esse fossero.
Il giorno 27 si prospettava pieno di incognite, e il sapore di battaglia si sentiva nell’aria. Le donne nelle contrade e sull’uscio delle botteghe, esprimevano fondate preoccupazioni. Noi nella attesa di una risposta da parte degli avversari, cercavamo di tranquillizzare la popolazione.
E finalmente pervennero le loro condizioni.
Le operazioni di resa dovevano svolgersi in municipio alla presenza del parroco e delle autorità.
Inoltre il parroco, facendo da scudo, avrebbe dovuto accompagnare il loro comandante per garantirgli l’incolumità.
Durante il disbrigo delle operazioni di resa, che dovevano svolgersi in un tempo massimo di 45 minuti, un nostro uomo sarebbe stato loro ostaggio.

Sentite le condizioni, il capo squadra Giuliano Vescovo, si offrì subito come ostaggio, quindi si interpellò il vecchio parroco Don Edoardo Riboni il quale accettate loro richieste e mettendosi a nostra completa disposizione, ci invitò a pregare affinché senza spargimento di sangue il sole potesse tramontare nel segno della pace.
Subito si compose il gruppo, che si sarebbe recato alle cave, formato dal parroco, dall’ostaggio, da Bossetti Vincenzo, da Pedranti Libero e Milani Carlo. (I componenti la comitiva ci dissero poi come si svolsero i fatti)
Arrivati alle cave una sentinella ci guidò nel bosco.
Il colonnello che ci attendeva, dopo le presentazioni di rito, si rivolse a Don Riboni: “Voi vi rendete conto di quanto sta accadendo oggi?”
“Si”, rispose sicuro Don Riboni, “sto partecipando ad un incontro tra uomini desiderosi di pace che spero sia da tutti agognata.”
Il colonnello meditò per qualche istante, non si spettava una risposta così disarmante nella sua semplicità. Poi chiese “Ma voi conoscete bene questi uomini?” “Si” rispose il parroco con accento si stima, “Li conosco, li ho visti crescere”.
L’ufficiale ci ribadì che uno dei nostri doveva rimanere come ostaggio, garante per la sua persona. Giuliano si fece avanti salutandolo. Il colonnello rispose al saluto e con voce che lasciava trapelare un monito, aggiunse “La sua vita è legata al comportamento della folla che troverò in paese… Tutto dipenderà da questo. Adesso possiamo andare.”
Il gruppo si avviò per raggiungere il municipio dove ci attendevano, il sindaco Sig. Bianchini e i membri del C.N.L.
Le formalità della resa si svolsero in modo civile, mentre fuori il popolo rumoreggiava. Purtroppo superammo, seppur di poco i 45 minuti entro i quali doveva avvenire la trattativa.
Giuliano ci disse poi che alcuni repubblichini alle minacce, avevano già iniziato a far seguire le percosse.
C’è da chiedersi date le circostanze, quale criterio abbia ispirato un comportamento così deprecabile. Il colonnello Montononi arrivò una decina di minuti dopo il previsto e, informato dell’increscioso accaduto, si scusò con Giuliano, per il comportamento dei suoi.
Poi rivolgendosi al nostro compagno, mentre si toglieva la bandoliera disse “Ora sono disarmato” e con voce mesta aggiunse ” come è diventato difficile comandare!” Gli porse bandoliera e pistola: ” la tenga, ora è sua.”
Noi ci limitammo a trasferire i prigionieri nel campo di raccolta di Busto Arsizio. Il caso volle che si ripercorresse lo stesso itinerario che i nostri compagni fecero in condizioni ben diverse il 26 Febbraio 1945, per raggiungere i luoghi dove avvennero le loro fucilazioni (dietro al cimitero di Castano e dietro al cimitero di Sacconago).
Ciò che di loro ci rimane sono le ultime parole:
Viva l’Italia libera, viva la Gasparotto

Gasparotto
Nome di Libertà di coraggio di bontà.
E il gruppo si fregiò del nome tuo…
Dietro ai cimiteri nostri
un dì scandian limpido
Il nome tuo
color che non ti videro.

G. Spezia (Pinetto)

Seguono le firme di: Pinetto Spezia Vescovo Giuliano Colombo Felice