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Il Naviglio e i clandestini – Settembre 1943

Il crepuscolo scendeva sul Naviglio rendendo più limpida l’acqua.
Sul fondo, in modo nitido si poteva scorgere una copiosa quantità di armi ammucchiate. La notizia data dai ragazzi che abitualmente fanno il bagno nel Naviglio era vera!
Ci demmo da fare per poterle ricuperare al più presto: 50 centesimi di mancia ai ragazzi, per ogni arma ricuperata (molti di loro con tanta dignità rifiutarono la mancia…).
Da dove provenivano tutte quelle armi?
Sapemmo poi, da alcune donne che stavano sciacquando i panni, come finirono in quel punto.

Due autocarri militari transitavano lungo l’alzaia del Naviglio, nel tratto Bernate – Cuggiono si fermarono e scesero dei soldati che si unirono in un sol gruppo. Alcuni di loro si appartarono (forse ufficiali?) e, dopo avere parlato tra loro, si riunirono agli altri, poi, tutti assieme, si tolsero il fucile che portavano a tracolla e lo calarono nelle acque, come se lo depositassero.
Le armi da noi recuperate vennero prontamente revisionate e custodite in luoghi sicuri. In seguito una parte di esse, venne consegnata agli amici dei gruppi che ne facevano richiesta. Mi ricordo che un fucile mitragliatore (in modo un pò rocambolesco) fu ceduto al compagno Carlo Berra, elettrotecnico presso la C.G.E. di Milano. Carlo venne a casa mia, dove si celavano buona parte delle armi (nel fienile di mio padre). Si scelse un fucile mitragliatore, lo smontò, e disse: “Ci vuole circospezione per portarlo in fabbrica, per ora prendo solo la canna, il resto dei pezzi, ti prego di farmelo recapitare in piccoli pacchi, tramite un mio garzone di Cuggiono, Gaetano Calcaterra”. Povero Carletto… la sua cautela nell’agire non è stata sufficiente a tutelarlo. Venne fucilato a Milano il 7-7-1944. Anche Albertino, in seguito fece richiesta di quelle armi, ci diceva che “la montagna” ne aveva bisogno.
Rimpiangemmo la poca parsimonia nel cedere le nostre armi ad altre formazioni, quando la nostra si avviava al ragguardevole numero di 280 unità (vedi “Gasparotto” presso l’Archivio Storico della Resistenza).

Comunque eravamo tutti appartenenti allo stesso movimento per la LIBERTA’, che ha dato vita a questi piccoli fatti e a oscuri eroismi quasi sempre ignorati. Il tipo stesso di azione che svolgevano i gruppi esigeva che i documenti venissero distrutti dopo l’azione. Le narrazioni di piccole storie, di tragedie sfiorate, di rischi affrontati finora a noi pervenute si devono principalmente a coloro i quali per devozione verso l’amico scomparso o per stima per l’atto eroico d’un compagno annotarono sul loro diario i nomi e i fatti.
Purtroppo le debolezze umane non sempre lasciano parlare i nomi e i fatti. Mi è cara una citazione di Aristide Marchetti: Se si lasciassero parlare tutti i nomi e tutti i fatti di allora, la verità sarebbe facilmente accertabile (e noi diciamo più ricca).
Ma la prima abilità degli storici è dimenticare.
Invece di storia “ad usum delphinis” c’è la storia “ad usum leonis”.

Dove stanno scritti i nomi di “tutti” i compagni? Dove si possono leggere le loro azioni, il loro coraggio, il loro modo di affrontare l’azione nel pericolo? Eppure tutti misero a repentaglio la loro vita per la LIBERTA’, quando la filosofia delle S.S., fonte di morte e di dolore per le innumerevoli madri che più non videro i loro figli, imperversava sul suolo della Patria come una folgore apocalittica, quando il Re Vittorio Emanuele III se ne andava a Brindisi con lo stato maggiore, quando a chi chiedeva nessuno sapeva dare una risposta.
In quei giorni lo Stato subiva una caduta in verticale, tutto sembrava perso, sembrava che i valori morali e civili fossero scomparsi.
Fu proprio in quei giorni che questi uomini si chiesero cosa si potesse fare per portare l’Italia a un regime democratico. I nostri primi incontri, i nostri primi nuclei contro il tedesco si formarono nei boschi del nostro Ticino.

Uno degli animatori di questi gruppi fu Angelo Spezia, il quale non avendo abbandonato mai i contatti con uomini di ferme convinzioni democratiche, si trovò facilitato nell’organizzazione dei gruppi. Questi gruppi avevano bisogno di trovarsi in un ambiente che permettesse loro di conoscersi e organizzarsi in modo di avere una preparazione adeguata per… quel giorno.
Ci sembrava ormai remoto il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo criticò l’opera di Mussolini: l’ordine del giorno, che prevedeva di affidare al Re la direzione della guerra e sollecitava la corretta applicazione della Costituzione, venne sottoposto a voto e ottenne, 19 SI, 8 NO, e un astenuto. Il giorno 28, il Governo avrebbe provveduto alla liquidazione definitiva del partito fascista e di tutte le istituzioni del regime.

Ora dall’altra parte della barricata c’era solo lo straniero con la sua aberrante filosofia razzista.
I nostri nuclei si formarono con giovani provenienti da diversi comuni. Mi ricordo i Croci di Rescaldina, gli Zerba di Villa Cortese, i Villoresi e gli Stefanoni di Arconate, i Colombo di Dairago e Turbigo, Naggi di Buscate, i Galli di Boffalora e di Mesero, i Ponciroli e i Carnaghi di Casate, i Garavaglia di Bernate, i Ronchi di Robecchetto, i Belloni e i Morani di Inveruno, i Giazzi di S. Antonino, i Giudici di Fagnano Olona, Melazzani di Rho, i Paccagnini di Castano Primo, Gino Radaelli di Milano.
I boschi di Cuggiono furono i luoghi dei nostri primi incontri, dove le idee presero forma e la Libertà divenne come un culto religioso.

Questi giovani non incontrarono difficoltà nel trovare un ambiente che permettesse loro di trovarsi, di conoscersi e di organizzarsi. Trovarono altrettanti uomini che in nome della Libertà misero a disposizione le proprie case nei limiti consentiti dalle loro possibilità. Ricordo qui i nomi di questi uomini: Giuseppe Villa, il quale mise a disposizione la sua fattoria e tutto quello che potesse servire all’organizzazione, Sandro Crespi che diede asilo ai nostri compagni ricercati e nella sua cascina (a Mesero) tenne nascoste delle armi, il colonnello Carlo Borghi (grande invalido della I Guerra Mondiale e decorato di medaglia d’Argento e di Bronzo al Valor Militare) che ospitò più volte il comando del gruppo “5 Giornate” comandato dal colonnello CROCE; nella sua casa sopra Varese si tenne l’ultimo consiglio di guerra del Gruppo, prima della battaglia nella Fortezza di S. Martino sopra Varese (battaglia che durò due giorni e due notti e che vide i repubblichini vincenti grazie bombardamenti aerei tedeschi), inoltre Giovanni Gualdoni (agricoltore) collaborò per il vettovagliamento, e diede asilo “ai nostri” Enrico Crespi, Stefano Calcaterra, Carlo Puricelli (decorato di medaglia d’Argento e di Bronzo al Valor Militare nella I Guerra Mondiale). Per questi uomini di provate esperienze, la Formazione poté rimanere sempre unita anche dopo le provanti fatiche delle giornate avverse. E ancora il dottore Luigi Jadicicco, Felice Frattini, il nostro commissario di guerra Mario Borghi (figlio del colonnello Borghi) che avendo possibilità di avere contatti con altre formazioni era per noi motivo di arricchimento per l’apporto di esperienze diverse. Mario ebbe l’occasione e il privilegio di assistere nel suo chalet, l’ultimo incontro del comandante CROCE con i suoi ufficiali, prima della sfortunata BATTAGLIA del 14-11-1943. Nella famiglia di Mario ci furono ben 3 Decorazioni d’Argento al Valor Militare: Carlo (il padre), Mario e Renzo gli zii.
Mario era ancora studente di medicina all’Università di Pavia quando il regime “aveva pubblicato” il PRIMO e il SECONDO LIBRO DEL FASCISTA, libri permeati di antisemitismo, redatti come un catechismo per l’indottrinamento della gioventù. In quel periodo la propaganda razzista veniva divulgata in ogni ambiente tramite tutti i mezzi di comunicazione. Fu proprio durante uno spettacolo di regime che Mario in compagnia di amici, esplicitò la propria disapprovazione lanciando dalle balconate del teatro un nugolo di manifesti antirazzisti nei quali si reclamavano: LIBERTA’ e GIUSTIZIA. Parole che sovente sentii citare dal commissario di guerra della “GASPAROTTO” durante la sua permanenza.

Che dire poi di Don Visconti, parroco di Casate il quale ha tenuto nascosto sul solaio della chiesa, un soldato tedesco che individuato dalle S.S. Come nostro collaboratore doveva essere fucilato ad Abbiategrasso. E Don Giuseppe Albeni: educatore, artista, patriota. Questi uomini furono l’ossatura del gruppo.
Il loro comportamento ci obbliga a riflettere sull’amore che sentirono per la LIBERTA’, nobile sentimento che loro fecero sentire anche nei momenti più cupi: “Senti l’amore e solo allora lo potrai far sentire…”.
Ricordiamoci di chi in quelle giornate prese le armi, per guadagnare la LIBERTA’.
 
(Pinetto) Spezia Giuseppe
 
Note
1: Primi raduni partigiani, nei boschi di Cuggiono e Bernate Ticino (MI).
2: A guerra finita, molti partigiani hanno preferito consegnare al luogo dei primi giorni, il loro fucile.