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Don Giuseppe Albeni

COME FARE IL PRETE NELLA BUFERA DELLA GUERRA

La nostra comunità di Cuggiono non può lasciar passare un anniversario come il 60° della liberazione e della fine della seconda guerra mondiale, senza far memoria di una figura di sacerdote che di quegli avvenimenti fu protagonista e non da poco.

A lui il nostro Comune ha dedicato una via: la via don Giuseppe Albeni.

La vita di don Giuseppe inizia a Busto Arsizio dove nasce il 10 novembre del 1913. La sua è una famiglia dove si respira un forte senso religioso grazie soprattutto alla mamma Paolina.

L’esito di tale atmosfera di fede furono tre sorelle suore e la vocazione di don Giuseppe.

Il Card. Schuster ordinò prete don Giuseppe l’11 giugno 1938 e lo destinò come assistente dell’oratorio maschile di Cuggiono dove arrivò il 27 dello stesso mese con tutta l’energia e l’entusiasmo di un giovane che si getta nel lavoro apostolico. Due connotati fondamentali della sua personalità colpirono subito: un meditato entusiasmo che permeava tutto ciòche faceva e, in secondo luogo, un’innata sensibilità umana ed artistica che balenava nei suoi occhi vivi e penetranti.

Si preoccupò di creare un luogo accogliente ed attrezzato per riunioni, dibattiti, giochi. attività sportive e diede inizio ad un lavoro personale di formazione che non trascurasse le migliori espressioni dell’uomo. Eccolo cimentarsi con la pittura, misurarsi con la musica come valido direttore di messe polifoniche e di cori alpini, farsi in quattro come regista e scenografo di attività teatrali.

Per don Giuseppe dirigere un coro alpino o una messa di Perosi, preoccuparsi dei viveri per i partigiani o della colonia montana dei suoi ragazzi, badare ai preparativi di una recita teatrale o all’insegnamento della ‘dottrina’ erano modi diversi nei quali esprimeva la sua vocazione di autentico prete.

Fortemente preoccupato dell’educazione morale, sociale e politica delle giovani generazioni afferma esplicitamente il dovere morale di opporsi alle ingiustizie e ai soprusi della dittatura fascista.

Si avvale principalmente dell’Azione Cattolica per la formazione dei suoi giovani mirando ad una educazione unitaria che saldi strettamente profilo umano e cristiano della persona.

Pretende sempre il più rigoroso impegno personale e dedizione al lavoro in oratorio.
Nel suo progetto educativo i giovani devono costituire il perno della formazione e un punto di riferimento per la comunità parrocchiale.

Lavora a formarne la coscienza civica perché dovranno, una volta adulti, assumere responsabilità amministrative e politiche nella nuova Italia che sarebbe sorta dopo la dittatura.

Non tutti i giovani sceglieranno la via della resistenza partigiana ma tutti erediteranno quel senso di impegno civico e di interesse per gli altri che egli in quegli anni riuscì a trasmettere loro.

Profondamente convinto che il termine dell’azione educativa deve essere una vita sociale da tutti condivisa in liberta e democrazia, fin dal1942 entra in contatto con gruppi clandestini di diversa estrazione ideologica e di diversi schieramenti politici.

Mario Borghi, allora studente di medicina e partigiano cuggionese, ricorda l’impatto non proprio incoraggiante del primo incontro con don Giuseppe.

Alla sua domanda circa la parte politica cui Mario faceva riferimento e alla altrettanto schietta risposta, con una tipica smorfia delle labbra, don Giuseppe fece seguire un: “Perché poi del Partito d’Azione?..” e, dopo un breve silenzio, con tono sereno e conciliante, riprese dicendo che “l’importante era che fossimo dalla parte giusta e che combattessimo lealmente per la stessa causa; ogni disputa politica andava rimandata a dopo la Liberazione”.   

In quest’opera di educazione e formazione morale e politica é aiutato dall’amico, bustocco come lui, Luigi Vignati, dirigente di plaga dell’Azione Cattolica, futuro commissario di guerra partigiano.

La guerra intanto dilagava con atrocità senza fine: la forza e la violenza sembravano divenire i nuovi valori. Le carceri si riempivano di innocenti colpevoli solo di non voler consegnare la propria coscienza ai nuovi barbari che avevano distrutto ogni libertà, irridevano alla giustizia, perseguitavano e schernivano l’uomo: “L’UOMO DI DIO” diceva don Giuseppe esortando alla ribellione contro l’oppressione e a non essere “cuori tiepidi”.

“La libertà e una grande forza dell’anima – diceva – e dobbiamo lottare per riconquistarla, senza temere il sacrificio, la tortura e la morte; fieri della nostra fede, perché e scritto che e necessario che qualcuno muoia, perché tutti possano salvarsi”.

Dopo 1’8 settembre 1943 organizza nei locali dell’Oratorio i primi gruppi giovanili clandestini, accogliendo giovani anche dei paesi vicini, tra i quali Giovanni Marcora (“Albertino”), futuro comandante partigiano e futuro ministro dell’Italia democratica.

Come una grande schiera di sacerdoti, anche don Giuseppe ha creduto fermamente che la propria missione, in determinati momenti della storia, non si dovesse esaurire nell’ambito ristretto di una parrocchia o nella cura di qualche migliaio di fedeli, ma dovesse spaziare verso quella umanità che veniva sconvolta dalla guerra e dai sommovimenti sociali e politici che da una guerra sana fatalmente scatenati.

Con grave rischio personale accoglie nella sua casa ricercati per motivi politici o razziali e aiuta il loro espatrio in territorio elvetico.

E’ la sua carità sacerdotale che ospita il partigiano comunista Andrea Macchi, liberato con uno stratagemma dall’ospedale di Busto Arsizio dove si trovava gravemente ferito e piantonato. Non esita a trattenerlo in casa sua, a proteggerlo e curarlo, fino a quando riesce a procurargli un rifugio più sicuro.

Favorisce la nascita del nucleo partigiano di “Pian Cavallone”, costituito in un primo tempo solo da un gruppetto di giovani dell’oratorio di Cuggiono che portano a termine coraggiose azioni di sabotaggio e di guerriglia sui monti dell’Alto Verbano allo scopo di rendere meno efficienti le strutture nazifasciste.

Le visite al campo sono frequenti e durano alcuni giorni: don Giuseppe condivide la vita dura dei suoi giovani, continua presso di loro la sua opera di educazione morale e religiosa e, tornando al paese porta notizie ai familiari.

Profondamente convinto della necessita di unire tutte le forze per costituire un fronte unico contro la dittatura nazifascista, persegue la formazione del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) di Cuggiono.

Nel mese di marzo 1944, promosso da lui, ebbe luogo, nella sede del vecchio ‘asilo’ di via Zenoni, l’incontro tra i cinque responsabili cuggionesi ed il rappresentante provinciale del C.L.N., appartenente alla D.C.

Fu in quell’occasione che si diede inizio alla D.C. cuggionese e si presero impegni per la costituzione del C.L.N. di Cuggiono, non appena fossero sorti altri movimenti politici.

A questi giovani e a questi uomini che coraggiosamente si riuniscono in clandestinità, don Giuseppe si preoccupa di dare chiare idee e direttive per il domani.

In un diario partigiano sono annotate queste sue parole:


“E’ vicina l’ ora del trionfo, non del trionfalismo. 
Questa sera dobbiamo indicare con senso di responsabilità gli uomini che assumeranno compiti amministrativi locali….affinché per quel giorno non ci siano vuoti di potere.
In seguito, quando l’immenso numero dei deportati e carcerati tornerà alle loro case, si potranno indire elezioni democratiche……
La libertà conquistata la difenderemo con le leggi, 
non la lasceremo più incustodita sul davanzale della storia…”.

Da queste affermazioni si deduce facilmente la grandezza morale e la capacita educativa di don Giuseppe.

Intelligenza aperta e profonda, dotato di una vasta sensibilità e di capacita artistiche, riusciva a sognare, come un poeta, anche quando viveva braccato sui monti, tra i suoi giovani.

Un altro diario partigiano ci riferisce queste parole di don Giuseppe pronunciate, appena uscito dal folto di un bosco, all’apparire dello straordinario spettacolo del lago Maggiore, delle valli e delle Prealpi sulla sponda lombarda:

“Guarda che spettacolo!.. Un giorno finirà questa guerra orribile, e allora torneremo in questi luoghi a dipingere; piazzeremo qui il cavalletto e resteremo dal1’alba fino a sera senza più aver paura di essere braccati…”

La polizia nazifascista lo ferma più volte, lo interroga, perquisisce la sua casa, ma ogni volta don Giuseppe riesce con prontezza e abilità a presentare degli alibi, a giustificare le sue azioni, i suoi trasferimenti, e viene rilasciato.

Dopo aver personalmente accompagnato alcuni giovani sulle montagne dell’Alto Verbano, il 7 aprile 1944, giovedì santo, viene arrestato.

Risponde con prontezza all’interrogatorio, convince circa la sua missione esclusivamente sacerdotale e religiosa, e dopo tre giorni di carcere viene rilasciato.

II 7 luglio 1944, militi delle Brigate Nere e tedeschi delle SS compiono un rastrellamento alla ‘Cascina Leopoldina’, sede del quartier generale della Brigata ‘Gasparotto’.

AI termine del rastrellamento i nazifascisti decidono di fucilare dieci partigiani e, per dare una lezione a tutto iI paese, vogliono che l’esecuzione avvenga in piazza S.Giorgio

Don Giuseppe, fondatore e cappellano della Brigata ‘Gasparotto’, interviene con estrema fermezza riuscendo a salvare sei partigiani dalla condanna a morte. Quattro purtroppo vengono trattenuti, trasferiti a Milano e fucilati.

Il giorno successivo a questi fatti, don Giuseppe che troppo si era compromesso in difesa dei suoi ragazzi, è costretto a lasciare Cuggiono.

Fino al 25 aprile 1945 vivrà nascosto, fuggiasco, chiedendo ospitalità al Seminario di Venegono Inferiore (rifugio di tanti ricercati), ad alcuni parroci amici, al fratello che aveva una tenuta presso Borgoticino.

Non mancarono tuttavia segrete apparizioni a Cuggiono presso l’oratorio maschile: erano incontri indispensabili ma estremamente rischiosi per lui e per i partecipanti dato che si sapeva continuamente spiato.

“Dopo uno di tali incontri terminato dopo Ie 23 – orario del coprifuoco – dispose che Padre Grato, il religioso che sostituiva don Giuseppe ormai in clandestinità, ci accompagnasse alle nostre abitazioni con l’intesa, qualora fossimo stati fermati dalle pattuglie tedesche, di dichiarare che a casa nostra c’era un malato grave e che era richiesta la presenza del sacerdote per i conforti religiosi”. (da una memoria di Piero Cucchetti)

Nonostante la vita clandestina, mantiene contatti con i nuclei partigiani dell’Alto Milanese e della Val d’Ossola, e con i suoi frequenti spostamenti diventa prezioso ufficiale di collegamento e un corriere di informazioni riservate.

In questa sua veste di ufficiale di collegamento viene anche in contatto con una missione clandestina americana e favorisce aiuti e rifornimenti ai nuclei partigiani.

Con la forza della sua personalità e con l’ascendente che si era meritato, riesce ad organizzare il passaggio dei poteri in Cuggiono senza che si verifichino fatti di sangue. Proprio come lui voleva: “Conquistare la libertà nella giustizia e applicare la giustizia senza fomentare odi tra la popolazione”.

Dopo il 25 aprile 1945 é eletto all’unanimità presidente del C.N.L. locale e si deve a lui se a Cuggiono non si verificarono vendette personali e azioni di rappresaglia. Un altro partigiano cuggionese, Gianfranco Crespi, ricordava cosi don Giuseppe:

“I concetti di libertà, di giustizia e democrazia erano al centro delle discussioni che avvenivano in casa sua e ci venivano da lui filtrati con notevole intuizione cosi da prendere forma e consistenza tali da delineare gia la futura società degli uomini liberi.

Con lui era sempre cosi: si esplorava il futuro…

Ci rivedemmo a guerra finita e ancora lo seguimmo: ora si batteva perché non fossero traditi i morti, per una società nuova basata sui consenso popolare e ci esortava ancora a vigilare.
Lo seguimmo quando lasciò l’oratorio, novello parroco di Albizzate, alla fine di ottobre del 1955.
Lo accompagnammo, troppo presto, con una tristezza che ci bruciava il cuore, verso la sua ultima dimora terrena.
Don Giuseppe, abbiamo vigilato abbastanza o abbiamo tradito i morti? Siamo stati ‘fieri’  o dei ‘cuori tiepidi?”.
Ad Albizzate don Giuseppe rimase per sei anni scarsi e vi morì, stroncato dal tumore, il giorno della Madonna del Carmine, 16 luglio 1961.

P.S. Le notizie per questa breve nota sono state raccolte:
– dal volume “MEMORIA 01 SACERDOTI RIBELLI PER AMORE” pubblicato dalla Diocesi di Milano a ricordo dei tanti sacerdoti ambrosiani impegnatisi nella resistenza. CENTRO .AMBROSIANO DI DOCUMENTAZIONE E STUDI RELIGIOSI, Milano 1986
– dall’opuscolo “MEMORIA DI UN UOMO CHE PASSO’ DA CUGGIONO” stampato a Cuggiono nel 20° anniversario della morte di don Giuseppe Albeni. 1981

Le stesse notizie qui riportate sono state riviste da PINETTO SPEZIA, testimone oculare dell’impegno di don Giuseppe e attivo nella Resistenza Cuggionese.