Di Nino Chiovini
Articolo tratto dalla rivista “Resistenza unita” nr. 10, pag.3, Ottobre 1989
Originale conservato presso la Casa della Resistenza Parco della Memoria e della Pace – Verbania Fondotoce
Fotografie aggiunte al testo di: Ecoistituto della Valle del Ticino
Contadini e sfollati
Nel 1944 Cuggiono, trenta chilometri a ovest di Milano, è un centro agricolo di 5000 abitanti.
Nel solco di una radicata tradizione di docile sudditanza nei riguardi di chi si avvicendava nell’esercizio del potere, Cuggiono non vanta originali tradizioni. Eppure dalle epiche lotte contadine della valle padana, dal tardo Ottocento al 1922, venne scossa. Il contadino cuggionese quando, dentro le cicliche crisi agricole, si trovava senza lavoro, rimediava quietamente con l’emigrazione negli Stati Uniti. Quest’ultima si, una solida tradizione.
A Cuggiono il fascismo deve molto della sua affermazione ai campieri, squadristi per vocazione e naturale braccio armato degli agrari locali. A ribellarsi al fascismo trionfante furono in pochi; raggiunti dalle punizioni fasciste, alcuni si ritirarono in dignitoso silenzio, altri chinarono il capo. Cosicché tutto il borgo, volente o no, si adattò ai nuovi padroni.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, i primi due anni non modificarono gran che le abitudini dei cuggionesi, occupati i più nell’agricoltura, alcuni pendolari nelle industrie della metropoli.
Nel 1942, all’acuirsi delle incursioni aeree angloamericane, Cuggiono accoglie centinaia di milanesi sfollati dalla città bombardata. Si verifica così una forzata coabitazione, in cui i cittadini trasferiscono in quel borgo apparentemente pigro e impermeabile, la loro maturata e sofferta avversione alla guerra, la guerra voluta e sostenuta dal fascismo. E, inaspettatamente, Cuggiono rivela di non essere indifferente, specie nelle sue più giovani generazioni.
Non deve quindi stupire se, in breve tempo, alcuni giovani nel borgo e della città d’origine, quelli che la guerra non s’è ancora preso o che ha restituito inservibili, maturano una scelta di avversione alla guerra e di presa di distanza dal regime fascista. Addirittura, nell’inverno 1942-43, si può parlare a ragion veduta, di un gruppo di giovani legati soprattutto dal comune sentimento antifascista, che in alcuni si è già trasformato in consapevole militanza attiva. Sono cuggionesi Piero Berra, studente in medicina; Angelo Spezia (detto Giulin) operaio/impiegato, reduce di guerra e invalido; Carletto Berra, operaio meccanico; il milanese Mario Borghi, studente in medicina; infine, convinto dai summenzionati, lo scrivente, studente lavoratore, da pochi mesi trasferito con la famiglia da Verbania a Cuggiono. Tra questi giovani, un ruolo di punta è giocato da Piero Berra e da Giulin Spezia.
A quell’avanguardia sono collegati, in varia misura, un maggior numero di giovani e giovanissimi, la cui coscienza antifascista è meno delineata, talvolta non ancora esplicita, ma irreversibile. Sono essi i necessari rincalzi, in fase di reclutamento, attraverso un paziente lavoro di propaganda esercitato dai loro compagni, stupiti dalla facilità con cui i loro argomenti, spesso esposti rozzamente, facciano rapida presa.
Infine, c’è don Giuseppe Albeni, coadiutore presso la parrocchia di Cuggiono, la cui abitazione è assiduamente frequentata da buona parte di quei giovani. Egli è conosciuto per le sue convinzioni antifascista e solo la sua discrezione e l’abito che indossa, gli hanno finora evitato guai.
Don Giuseppe, naturalmente, interpreta il suo antifascismo – che pure intende militare e non contemplativo – in chiave cattolico-popolare di stampo sturziano, con una netta chiusura nei riguardi di tutto ciò che s’ammanta di rosso. Questa è, probabilmente, la causa della minore assiduità in casa sua, di Carletto Berra e di Giulin Spezia, entrambi in odore di socialismo. E anche dalla celata diffidenza dei «laici» Piero Berra e Mario Borghi che – si saprà più tardi – si sono messi in collegamento con l’organizzazione milanese del partito d’azione.
Abbasso la guerra
La densa nebbia invernale che avvolge la pianura quasi ininterrottamente, facilita le iniziali attività di propaganda e di testimonianza di quei giovani. Materiale del partito d’azione viene affisso nottetempo a Inveruno, Magenta, Castano Primo, Robecchetto, oltre che a Cuggiono. Quando non c’è materiale da affiggere, le scritte a calce di «W la pace», «M la guerra», «M il duce», si sprecano sui muri: durano meno d’un giorno, perché gerarchi e carabinieri le fanno subito cancellare.
Il 26 luglio, giorno seguente al colpo di stato che ha deposto Mussolini, anche Cuggiono è in festa. I giovani antifascisti escono allo scoperto e si dirigono alla casa del fascio, in cerca di documenti interessanti l’attività repressiva, seguiti da una folla sempre più numerosa, che invade i locali e comincia a gettare, nel sottostante cortile, ciò che capita tra le mani, a cominciare dai ritratti di Mussolini.
Poi arrivano i carabinieri della locale stazione, al comando dello squadrista maresciallo Anzani che, a pistola spianata, ferma e traduce in caserma una decina di giovani accuratamente scelti; ma Piero, Giulin e altri giovani che hanno evitato il fermo, non perdono tempo: due ore più tardi Anzani è costretto a rilasciare i fermati, perché tutta Cuggiono – almeno tremila persone – sta manifestando duro davanti alla caserma.
Otto settembre 1943: l’armistizio. Per un paio di giorni il maresciallo Anzani riesce a tenere in pugno la situazione in paese. Il pomeriggio del 10, i carabinieri bloccano sulla piazza principale di Cuggiono un autocarro militare condotto da due fanti che facevano parte di un reparto di occupazione nella Francia meridionale e che stanno dirigendosi verso la loro città. Sul cassone dell’autocarro giacciono 40/50 fucili, due mitragliatori Breda 30 e casse di munizioni. Sopraggiunge Anzani, che ordina ai due soldati di recarsi a Legnano e di presentarsi al comando del locale presidio. I giovani antifascisti, che si sono già piazzati attorno all’autocarro, avvertono i due soldati che Legnano è controllata dai tedeschi; ma essi non se la sentono di disobbedire a un maresciallo dei carabinieri. Quest’ultimo, a buon conto, si appresta a salire in cabina accanto a loro, per accompagnarli a Legnano.
Recuperare le armi
Giulin fa velocemente passare la voce di precedere in bicicletta l’automezzo e di attenderlo all’entrata di Inveruno, distante tre chilometri. Una quindicina di giovani volano all’ingresso di quel borgo, bloccando la strada.
Giunge l’autocarro che, a causa delle biciclette ammassate di traverso sulla carreggiata e per l’assembramento dei giovani, è costretto a fermarsi. Scende Anzani che accenna a estrarre la pistola, ma più veloce è Giulin, che leva di tasca la sua (di cui tutti ignoravano il possesso) e costringe alla resa il maresciallo, che viene disarmato e allontanato.
Giovani e biciclette prendono posto sul cassone dell’autocarro che, guidato da uno dei due fanti, riparte in direzione dell’aperta campagna. In un pagliaio, vengono scaricate armi e munizioni, occultate alla meglio sotto le stoppie; poi i due militari, sull’autocarro vuoto, prendono coscienza – i più confusamente – che s’è chiusa una pagina della loro vita e sta per aprirsene un’altra piena di interrogativi, dubbi, incertezze, apprensioni. Questo stato di inquietudine peraltro non impedisce a Giulin, Emilio Ceriani, Felice Croci di Rescaldina e altri, di portarsi la sera stessa al campo di aviazione di Lonate Pozzolo, non ancora raggiunto dalle truppe tedesche, dove, in accordo con un ufficiale (il capitano pilota Plata) si impadroniscono di alcune armi individuali e di una mitragliatrice, che smontano da un caccia in avaria.
I tedeschi sono a Milano
Intanto, le notizie che si accavallano, vere e false, confermano l’estensione a macchia d’olio dell’occupazione tedesca: Legnano, Castellanza, Busto Arsizio sono già in mano nemica, perché tali sono ormai le truppe del Reich. Man mano che passano le ore, si pone in tutta la sua ampiezza il problema del rapporto con le truppe occupanti e con i residui fascisti in risveglio, nonché quello della loro prevedibile reazione a ogni atto ostile, a cominciare dal fatto di Inveruno ormai di pubblico dominio: parecchi sono i ragazzi che da quella notte non dormono più nelle proprie abitazioni.
La scelta di reputare nemico l’occupante tedesco è indiscussa. Ed è a partire da quell’assunto che a Cuggiono si comincia a parlare della costituzione di un nucleo armato di resistenza all’invasore; qualcuno ha già trovato un nome: quello risorgimentale di guardia nazionale. Con l’incarico di ricercare collegamenti, viene inviata a Milano una delegazione composta da Piero Berra, lo scrivente e Ugo Pini, un giovane impiegato milanese che per primo ha osato, insieme al Sergio Papi, parlare di comunismo a Cuggiono.
Dopo che Piero è passato dall’abitazione di chi era in contatto con lui e Borghi, e saputo che si è diretto verso la sede dal Comando di Piazza, anche i tre si avviano nella medesima direzione.
Nel palazzo del comando c’è ancora il generale Ruggero, vecchio arnese fascista della repressione antipartigiana in Croazia; egli non intende ricevere nessuna delle delegazioni, ossia gruppi di giovani che, chiedono armi a gran voce, scalpitano impazienti e chiassose (davanti al portone d’accesso sbarrato e presidiato dall’interno) e che, alla fin fine si limitano a scambiarsi le più disparate proposte e vecchie e nuove notizie su ciò che avviene o, piuttosto, su ciò che non avviene; scordandosi in quel bailamme, di collegarsi almeno tra di loro. Delusi, i tre tornano a Cuggiono senza essere riusciti a concludere alcunché, ma con il proposito di fare qualcosa, senza attendere sollecitazioni, indicazioni, aiuti.
Poi, gli avvenimenti precipitano: anche Milano viene occupata senza colpo ferire, tutta l’Italia centro-settentrionale passa sotto il controllo tedesco.
La scelta della montagna
A Cuggiono – dove l’occupante è rappresentato dal maresciallo Anzani che guata, con l’aiuto dei suoi carabinieri – tra le proposte operative che si accavallano, c’è anche quella dello scrivente, inconsciamente preoccupato di porre parecchio spazio rispetto ad Anzani: portarsi, con un nucleo armato sulle montagne verbanesi, che egli conosce bene.
Piero e Ugo appoggiano senza riserve quella proposta; Giulin non si oppone, ma afferma di preferire la pianura alle montagne: ne ha abbastanza di quelle albanesi; neppure don Giuseppe, solennemente interpellato, si oppone, pur conservando il beneficio d’inventario. In conclusione, è questa la proposta che va per la maggiore e che passa senza espliciti traumi; per la verità, a cominciare dal proponente, accompagnata da celate apprensioni, dissimulate riserve, sinceri entusiasmi, sete di avventura e anche serie consapevolezze.
Il mattino del 16 settembre, sei giovani partono da Cuggiono e, raggiunta Intra presidiata in sordina dalle SS, proseguono per la montagna, trascinandosi appresso pesanti valigie contenenti, oltre a viveri e indumenti, alcuni dei moschetti – con relative munizioni – conquistati a Inveruno.
Quel primo nucleo, al quale si aggiungeranno altri cuggionesi e giovani del luogo e di altre zone, si trasformerà nella formazione partigiana «Giovine Italia»; è in quella formazione partigiana che militeranno l’Ugo Pini, il Sergio Papi, il Peppo, il Brighel, il Gino Goi, il Cesare Sozzi, l’Eligio Villa e altri di provenienza Cuggionese, di cui oggi sfugge il nome. La «Giovine Italia», superato con gravi perdite il sanguinoso rastrellamento del giugno 1944, si unirà poi con un’altra formazione, per costituire la Brigata Garibaldi «Valgrande Martire».
Per approfondire si rimanda a: FUORI LEGGE ??? Diario di un partigiano nel Verbano – di Nino Chiovini
Tanti protagonisti
Degli altri protagonisti di questa autentica storia, Carletto Berra, Giovanni Gualdoni e Sergio Papi saranno falciati dai plotoni d’esecuzione.
Giulin Spezia costruirà e dirigerà nella pianura altomilanese la brigata Poldo Gasparotto, che vedrà combattere nelle sue file il fiore della gioventù e dell’adolescenza cuggionese; oltre al Carletto Berra e al Giovanni Gualdoni, il Pineto Farée, il Gianfranco Crespi, i fratelli Villa, il Pinetto Spezia, l’Emilio Ceriani.
Piero Berra, dirigente militare del partito d’azione a Milano, diventerà aiutante maggiore del Raggruppamento di Dio, mentre Mario Borghi sarà un dirigente dell’apparato clandestino del partito d’azione.
Don Giuseppe Albeni, nei primi mesi a fianco dei «cuggionesi» in armi, conoscerà il carcere e la clandestinità.
Mentre il Bruno Bossi riuscirà a portare a casa da Mauthausen i suoi residui 32 chili di pelle e ossa, il Sergio Papi, dopo un’evasione dal lager, sarà catturato al Brennero e fucilato.
Le armi di Inveruno e quelle di Lonate Pozzolo serviranno ad armare i partigiani della «Giovine Italia» e della «Gasparotto».
Un paese per la libertà
Il maresciallo Anzani, fino alla fine al servizio del nemico, si renderà responsabile di nefandezze; catturato a Cuggiono il 26 aprile 1945, invece di una meritata punizione, avrà un’immeritata pensione.
La guerra di liberazione, oltre a quelli citati, coinvolgerà decine di altri giovani, donne e uomini di Cuggiono che, insieme ai combattenti, saranno partecipi come staffette, informatori, organizzatori, collaboratori. Insieme ai partigiani in armi, saranno essi che consegneranno al loro borgo una valida tradizione di lotta per la libertà.
Nino Chiovini
(Ottobre 1989)
NOTE BIOGRAFICHE
ALBENI don Giuseppe, (Albizzate 1913-1961), coadiutore della parrocchia di Cuggiono, Membro dei CLN di Busto Arsizio.
BERRA ANTONIO (Brighel), (Cuggiono 1925), operaio, partigiano della Giovine Italia e della brigata Poldo Gasparotto.
BERRA CARLO, (Cuggiono 1914), operaio meccanico, partigiano della Gasparotto, fucilato nel carcere di San Vittore a Milano il 7 luglio 1944.
BERRA LUIGI (Cuggiono 1922), contadino, partigiano della brigata Gasparotto.
BERRA PIERO, (Cuggiono 1920), catturato ferito a Milano nel novembre 1944, evade dal carcere di Legnano il 21 aprile 1945. Attualmente esercita la professione di medico a Ghiffa (NO), di cui fu sindaco per parecchi anni.
BORGHI MARIO (Milano 1921), medico chirurgo.
BOSSI BRUNO (Milano 1922), impiegato, partigiano della Gasparotto, deportato in Germania.
CERIANI EMILIO (Cuggiono 1924), impiegato, partigiano della Gasparotto.
CHIOVINI NINO (Peppo), (Verbania 1923) studente lavoratore, partigiano della Giovine Italia (di cui sarà il primo comandante) e della brigata Cesare Battisti.
CRESPI GIAN FRANCO (Cuggiono 1927), partigiano della Gasparotto.
GOI GINO (Cuggiono 1920), contadino, partigiano della Giovine Italia e della Gasparotto.
GUALDONI GIOVANNI (Cuggiono 1924), contadino, partigiano della Gasparotto, fucilato nel carcere di San Vittore a Milano il 7 luglio 1944).
PAPI SERGIO (Milano 1923), studente lavoratore, partigiano della Giovine Italia, fucilato al Passo del Brennero il 19 ottobre 1944.
PINI UGO (Milano 1923), impiegato, partigiano della Giovine Italia e della 85° brigata Valgrande Martire, commissario di plotone.
SOZZI CESARE (Cuggiono 1921), operaio, partigiano della Giovine Italia e della Gasparotto.
SPEZIA ANGELO (Giulin), (Cuggiono 1915), impiegato, comandante della brigata Poldo Gasparotto.
SPEZIA GIUSEPPE (Cuggiono 1924), operaio, partigiano della Gasparotto.
VILLA ELIGIO (Turbigo 1924), contadino, partigiano della Giovine Italia e della Gasparotto.
Di Nino Chiovini (1923-1991) si segnalano le pubblicazioni:
Fuori Legge ??? Dal diario partigiano alla ricerca storica, 36 puntate in Monte Marona, Verbania, dal n. 15 del 6 ottobre ’45 al n. 54 del 10 luglio del 1946.
Verbano, giugno quarantaquattro, Comitato della Resistenza, Verbania 1966.
I giorni della semina 1943 – 1945, Comitato per la Resistenza nel Verbano, Comune di Verbania 1974.
I giorni della semina, Vangelista, Milano 1974; Tararà, Verbania 2005.
Val Grande partigiana e dintorni. 4 storie di protagonisti, Margaroli, Verbania 1980; Comitato della Resistenza, Verbania 2002.
Classe IIIa B. Cleonice Tomassetti. Vita e morte, Comitato per la Resistenza nel Verbano, Comune di Verbania, 1981; Tararà, Verbania 2010.
A Trarego per la libertà, Comune di Verbania, 1982.
Il Verbano tra fascismo antifascismo e resistenza, Comune di Verbania, 1983.
Cronache di terra lepontina. Malesco e Cossogno: una contesa di cinque secoli, Vangelista, Milano 1987; Tararà, Verbania 2007.
A piedi nudi. Una storia di Vallintrasca, Vangelista, Milano 1988; Tararà, Verbania 2004.
Mal di Valgrande, Vangelista, Milano 1991; Tararà, Verbania 2002.
Le ceneri della fatica, Vangelista, Milano, 1992; Tararà, Verbania 2019.
La volpe in Verbanus n. 18, Verbania 1997; Istituto Cobianchi, Memoria di Trarego, Verbania 2003; Tararà, Verbania 2007.
Fuori legge ??? Dal diario partigiano alla ricerca storica, Tararà, Verbania 2012.
Piccola storia partigiana della banda di Pian Cavallone, Tararà, Verbania 2014.
La volpe, The fox, Der fuchs, edizione trilingue, Tararà, Verbania 2022
Fotografie di:
Albergo Pian Cavallone prima della distruzione
Albergo Pian Cavallone nel 2006