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La zia Irene e l’anarchico Tresca

Il nuovo libro di Enrico Deaglio, La zia Irene e l’anarchico Tresca (Sellerio) che l’autore presenterà a Le Radici e le Ali il  23 maggio, parte dalla uccisione di Carlo Tresca a New York nel gennaio 1943. Questa figura importante della nostra emigrazione,  era un anarchico, un sindacalista, che sul giornale «Il martello», di cui era direttore, faceva una campagna serrata contro il fascismo e i boss mafiosi di New York , Pope, Genovese, Garofalo, Costello, che si dichiaravano amici di Mussolini. Tra i primi sospettati dalla polizia, per il suo omicidio, ovviamente, ci furono gli uomini di Cosa nostra, e uno di loro, Carmine Galante, venne fermato. Ma fu rilasciato quasi subito e la morte di Tresca venne dimenticata.

Per riaprire il caso, Deaglio usa un espediente romanzesco: una valigia, inattesa eredità di una zia, contenente documenti, ritagli di giornale, fotografie. Irene, la zia da poco defunta, ha lavorato per anni nei servizi segreti. Morendo, ha voluto che i dossier delle sue ricerche fossero consegnati al nipote Marcello Eucaliptus, un analista finanziario, che dovrà catalogare il materiale e scrivere una relazione. Per questo viene convocato dagli ex colleghi della zia in un hangar vicino al ristorante «Il Biondo Tevere»

Il primo faldone lasciato dalla zia riguarda l’assassinio di Tresca. E qui, dopo aver documentato le piste ufficiali (la vendetta mafiosa, ma anche un ordine di Mussolini), si suggerisce un’altra verità: che Tresca fu sì ucciso da un mafioso, ma per qualcosa di più importante di una semplice vendetta. Non va dimenticato, infatti, che in quei mesi il presidente Roosevelt stava pensando a portare l’offensiva contro l’Asse in Europa con lo sbarco in Sicilia. Per questo, in segreto, si cercava la collaborazione dei clan siculo-americani. Ma gli attacchi ai mafiosi di Tresca avrebbero potuto far naufragare il progetto.

Del resto, dice Deaglio,  quell’accordo segreto doveva condizionare pesantemente la futura storia italiana. Intanto lasciando mano libera a Cosa nostra, che trasformerà la Sicilia nella più grande raffineria di eroina mondiale. Ma avrebbe anche prefigurato la nascita della Repubblica sotto l’egemonia moderata mentre la mancata epurazione lasciava al loro posto burocrati, funzionari, magistrati fedeli al passato regime.

Introdotto da questo preludio, si sviluppa un noir che riapre un caso di oltre settant’anni fa. Ma insieme, il racconto si arricchisce di una ricerca storica puntigliosa e per nulla disposta a prendere per vera la Storia Ufficiale. Insomma, La zia Irene e l’anarchico Tresca è un esperimento che mescola generi diversi per stringere l’obiettivo su una storia mai raccontata. Su come cioè la morte di un anarchico a New York avrebbe finito per decidere la storia a venire, o meglio la storia che nessuno ci ha voluto raccontare. Non a caso, inizio e fine del romanzo si svolgono nel ristorante dove Pasolini fu visto vivo l’ultima volta. Perché quella morte, nonostante i processi, è ancora oggi l’esempio di come non ci si possa fidare di ricostruzioni che si spacciano per la Verità.

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